IL MIRACOLO DELLA FARINA DI CECI

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PAOLO CIOLLI

IL MIRACOLO DELLA FARINA DI CECI

PAOLO CIOLLI

Paolo Ciolli, gastronomo ormai affermato, è giunto con questo libro al suo quinto lavoro. Ricordiamo:

I pesci della terrazza, Il cacciucco, La cicciaccia, habemus pappam, la pasticceria a Livorno

Le SCIAMADDE di GENOVA

Si entra allo scoccare del mezzogiorno quando la prima farinata esce fumante.
Subito sono attratto dal forno vecchio di secoli che funziona perfettamente, anche se la Comunità Europea trova da ridire riguardo a fumi ed alla sua igiene (avrebbe ben altro a cui pensare). è foderato di candide e sfaccettate piastrelle che formano un bell’insieme con quell’antro che scoppietta calore e con quel fuoco magico che illumina la volta, imbiancandola.
La cortesia è di casa, la cameriera è carina nei modi, bella nell’aspetto, è ben vestita e ci porge il piatto bianco dove gli assaggi fumano ed emanano un calore familiare. Ho accanto giovani e vecchi, molti sono clienti abituali, lo si vede da come entrano, salutano, speditamente prendono la seduta e confidenzialmente danno l’ordine. Si mangia con appetito e con giusti soldi.
Osservo e ascolto. Si parla di un po’ tutto: lavoro, politica, pensione, dei figli, delle speranze e delle poche certezze. Ridono in modo sarcastico sul mondo del lavoro e sui sacrifici che i giovani e i vecchi, parlando del passato che ritengono migliore, devon fare per tirare avanti in questa ‘Italietta’ sempre comandata e bistrattata proprio da coloro che così l’hanno ridotta… La farinata reticolata sulla superficie è fumante, dorata al punto giusto, con gli angoli croccanti, equilibrata nell’olio. Il piatto è pieno, ‘traborda’ calorie, che devo dire si armonizzano bene. Le affronto con la solita disinvoltura, aiutato da un quartino bianco leggermente frizzante e un po’ acidulo, che credo non mi basterà. La ‘fainà de ceixei’ è accompagnata da sformati di ricotta e verdure, acciughe e uova, formaggio e riso. Ho camminato per un paio d’ore di buona lena, fra i saliscendi e le strettoie dei grandi palazzi genovesi accompagnato dai Van Gogh, che un attimo prima mi avevano fatto vivere emozioni chimeriche, esaltato per le improvvisazioni coloristiche di Kandinsky, ebbro per il ‘Sole al Mattino’ di Hopper e riflessivo per i cromatismi sacrali e ascetici di Rothkco, che alcuni bambini di scuola elementare, avevano definito con vivace intuizione: ‘…un mare dove poter camminare’ e ‘…un prato innevato a mezzanotte’. Semplice ma diabolicamente intelligente.
Seduto al tavolino, dove, appeso al muro, un gongolante diploma del 1885 censiva la bontà della ‘fainà della Sciamadda di Sa-Pesta’, miro l’oste mentre gira la teglia di rame e penso ‘…Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?’.
Sono in una costruzione del ’200 e il leggendario quadro di Gauguin sbirciato nel catalogo appare una ricerca sul carme della vita. La velata tristezza dell’intimo della natura raccontata dai Turner e dai Constable era intrappolata dalle ninfee di Monet, mentre tagliuzzo porzioni di farinata calda, anzi ‘abbollore’, che porto senza sosta alla bocca. Traggo beneficio da tanta solitudine accompagnato da queste bellissime immagini che mi balenano nella testa e poi ho fame. Quella fame compita che ti fa mangiare di buona lena senza perdere però il discernimento.
Riflettevo e mangiavo…