Nessuna Bandiera Bianca

1 Aprile 2015 • • Views: 802

PARDO FORNACIARI

il MAGGIO LIVORNESE – 10 e 11 maggio 1849

e il libro

NESSUNA BANDIERA BIANCA

Il diario livornese di Pietro Martini

EDIZIONI ERASMO

Mercoledì 13 maggio, alle ore 17.30, alla Libreria Erasmo di via degli Avvalorati, sarà presentato, in occasione del Maggio livornese – 10 e 11 maggio 1849, il libro “Nessuna Bandiera Bianca” il diario livornese di Pietro Martini (Edizioni Erasmo), volume curato da Roberto Antonini, Patrizia Cascinelli e Luisa Marmugi. Ne parlerà Pardo Fornaciari che suonerà, canterà e interpreterà anche i canti rivoluzionari contenuti nel volume. Alcuni brani del libro saranno letti e interpretati da Aldo Galeazzi.

Pietro Martini (1820-1911) fu un artigiano livornese, autodidatta, d’idee democratiche e repubblicane combatté nei giorni della resistenza antiaustriaca. Fu quindi attento testimone riportando nel suo diario la cronaca precisa dei fatti di Livorno (e della Toscana) dal febbraio (fuga a Gaeta del granduca Leopoldo II) al maggio (occupazione austriaca di Livorno) del 1849.

Nel diario si ritrova grande attenzione ai conflitti tra le varie fazioni presenti in città, e tra tutti i personaggi, grande risalto è dato alla figura di Enrico Bartelloni vero combattente disposto a tutto fino all’estremo sacrificio in nome della libertà.

Il “Diario” è accompagnato da un’appendice ad opera dell’Autore con i profili biografici dei personaggi protagonisti della vicenda, e da una particolareggiata autobiografia.
Il testo del “Diario” è corredato di numerosi documenti originali, trascritti dall’Autore.

La ricostruzione fatta dal Martini è ritenuta dagli studiosi la più completa e attendibile tra le cronache dei testimoni dei fatti.
Il testo riprodotto è la trascrizione fedele del manoscritto autografo. Le modifiche operate sono state segnalate. La lettura è sicuramente interessante uno spaccato unico della vita quotidiana della città di Livorno che si preparava a sostenere una lunga mobilitazione contro gli austriaci.

Il manoscritto risale agli anni Ottanta (dell’Ottocento) e ha costituito la base per la prima pubblicazione (infedele e parziale) avvenuta negli ultimi mesi del 1891 sul Telegrafo di Livorno, a cura di Giuseppe Bandi (che ne era il direttore). Nel 1892 fu pubblicato in volume (Edizioni della Gazzetta livornese). Nel 1961 ne fu fatta una nuova edizione, a cura di Domenico Novacco, che ripristinò in buona parte il contenuto originale, comprensivo dell’Appendice (Ed. Demetra, Livorno).

Il presente volume contiene note e approfondimenti sui contenuti e sul testo, e due piante (una in inserto) per l’individuazione dei luoghi citati nel “Diario”.

Ecco come ricorda gli avvenimenti del 10 e 11 maggio 1849 Giovanni Fattori.
Fattori fu infatti spettatore di quelle che sono passate alla storia come le due giornate del “maggio livornese”, quando l’armata austriaca comandata dal feldmaresciallo Costantino Hoobreuck, barone d’Aspre, dopo due giorni di combattimenti, entrò in Livorno attraverso una breccia aperta nelle mura tra porta San Marco e porta Fiorentina. Un’esperienza drammatica che fu per Fattori fonte di ispirazione per i suoi quadri risorgimentali e per le sue “battaglie” che lo avrebbero in seguito reso celebre.
Giovanni Fattori, allora ventiquattrenne, trattenuto in casa dai suoi genitori per la sua giovane età, poté osservare le fasi più emozionanti della battaglia dal tetto della sua casa sugli scali del Corso. Di quegli avvenimenti Fattori conservò nel corso della sua vita un ricordo vivissimo, vantandosi sempre di essere di Livorno, la città che aveva osato prendere a cannonate gli austriaci.
Ma ecco come Fattori ricordò e raccontò in seguito quegli avvenimenti (le sue “cronache” sono state riportate nel volume “Livorno ribelle” edito dal Comune di Livorno nel marzo 2000):
 “Quando furono entrati (gli austriaci) si accamparono per bivaccare in piazza Grande di faccia al Duomo. Erano tranquilli e riposavano, però i soldati si dettero sbandati a salire le scale di alcune case e vennero pure da noi, che mia madre li dette due fiaschi di vino. Quando si sentì una grande detonazione di fucileria, cessò un momento e dopo riprese, e dalle finestre si vide un fuggi fuggi di cittadini e soldati. Ecco cosa fu: alcuni eroi – mi par giusto chiamarli così, perché la storia non si è degnata di ricordarli – capitanati da un prete che non ricordo il nome (dovrebbe essere Giovan Batta Mangini, cappellano della Guardia Municipale, fucilato dagli austriaci), entrano in Duomo.

Parte salirono sul campanile e parte in chiesa. Quando gli austriaci bivaccavano, dal campanile e dalla precipitosa apertura della porta del Duomo fecero foco, e fu talmente improvviso che destò una confusione e carneficina a un tempo…ma i poveri eroi livornesi erano troppo pochi – furono tutti fucilati.”

E sui bombardamenti cui fu sottoposta la città è ancora Fattori a fornirci una testimonianza:
“Ricordo che io ero tenuto prigioniero affettuosamente da mio padre e da mia madre. Al mattino si sentirono tonare i cannoni e scoppiarono i razzi alla congreve*. Ero in una piccola stanza, curvo si di una carta da disegno e facevo una composizione di un accanito combattimento fra greci e non so con chi. Leggevo l’Omero, l’Iliade. Si stava di casa sui fossi, di fronte il ponte che traversa i fossi – si chiama Nepomuceno -, proprio nel centro della città, al quarto piano: dalle finestre si vedeva un altro ponte che fronteggiava via Borra. 
Mi vinse la curiosità per vedere come erano disposti gli austriaci, e salendo sul tetto, dove vi era una soffitta e annessa a questa un abbaino, a un finestrino si scopriva tutta la pianura che va fino al Camposanto nuovo (attuale cimitero dei Lupi). Puntai i cannocchiali e al Camposanto nuovo, presso il cimitero vi erano molti soldati e cannoni. Ricordo di aver veduto un ufficiale che tranquillamente fumava e faceva dei cenni al comando, e i cannoni esplodevano. Quando, dalla via Borra, in due file, comparvero gli austriaci con l’armi al fianco, e di tratto in tratto tiravano alle finestre che supponevano aperte. Un razzo alla congreve* venne presso all’abbaino dove stavo a curiosare e scoppiò mandando in pezzi una parte del tetto.”
* Razzo alla Congreve. Inventato nel 1806 da William Congreve, figlio di un generale inglese, il razzo era costituito da un rivestimento in lamiera di ferro, conteneva una carica da 3 kg di materiale incendiario e montava un’asta di coda lunga circa 4 m, necessaria a stabilizzarlo in volo. Poteva percorrere oltre 3 km.

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