Mayor Von Frinzius è una Compagnia teatrale formata da circa 75 attori, e diretta da 5 registi. Ci riuniamo due volte a settimana, il lunedì e il venerdì, e proviamo per due ore nel Teatro degli Specchi, presso il Teatro C. Goldoni di Livorno. Il nostro laboratorio parte a ottobre, quando iniziamo la preparazione del nuovo spettacolo che, negli ultimi anni, ha debuttato a maggio sul palco dello stesso Teatro che ospita le nostre prove nel corso dell’anno. I nostri spettacoli durano in media due ore, durante le quali ogni singolo attore sta in scena ogni singolo minuto. Circa metà di noi, sono normaloidi (ci piace esser definiti così), l’altra metà, portatori di handicap psichico.
Storicamente parlando, il teatro ha da sempre consentito di esprimere emozioni che non sono lecite nel mondo ordinario. Sul palco può accadere tutto: si può uccidere, amare, desiderare, odiare, senza che –eccezion fatta per l’azione teatrale– alcuna di queste emozioni abbia delle conseguenze sul piano reale. Il filosofo tedesco Nietzsche (1844–1900) divide in questo senso il teatro in due forze opposte: la forza dionisiaca, energica, sessuale, di spinta vitale, lontana da qualsiasi freno, e la forza apollinea che frena le pulsioni istintive in virtù della forma estetica. La tragedia greca funzionava, poiché racchiudeva in sé la spinta dionisiaca necessaria a sprigionare energia sul palco, rendeva catartiche tutte le rappresentazioni sia per gli attori in scena che per il pubblico. Ma con il tempo, le cose sono cambiate. Si è prestata sempre più attenzione alla forma, all’estetica delle rappresentazioni: l’apollineo ha cominciato a predominare sul dionisiaco.
Un laboratorio teatrale che coinvolge soggetti disabili può appellarsi ad una forma o all’altra. Ma Lamberto Giannini già nel 1997 era dell’avviso, e lo è tuttora, che prestando eccessiva attenzione alla cura estetica della presenza scenica di un attore disabile si sarebbero ottenute ‘recitine’ senza alcuna potenza emotiva o possibilità di catturare l’attenzione sincera del pubblico. Non che uno spettacolo debba risultare privo in toto della componente apollinea, ma è necessario sfruttare la naturale resistenza dei soggetti disabili al senso estetico imposto: una coreografia in cui 70 persone vanno a tempo è piacevole a vedersi, una coreografia in cui 65 persone vanno a tempo e 5 seguono un proprio ritmo e un proprio senso musicale può esplodere. La forma tenta di contenere la sostanza, ma la sostanza –le 5 persone che ballano fuori tempo– esplode, ed è proprio questa esplosione che diventa elemento teatrale.
Il teatro ha sempre avuto la funzione di esprimere emozioni non lecite nel mondo ordinario. Il perbenismo ha cancellato questa liceità: rabbia, vendetta, invidia, sentimenti utilissimi all’animo umano (se incanalati nel modo giusto) sono stati soppressi, nascosti. Il teatro può liberare tutto questo, e Lamberto Giannini e Pier Giorgio Curti, questo lo avevano capito.