Lamberto Giannini
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Lamberto Giannini nasce a Livorno il 25 Aprile 1962. E’ pedagogista e docente di storia e filosofia presso il Liceo scientifico Enriques di Livorno. Da sempre molto attivo nel teatro, è regista della Compagnia teatrale Mayor Von Frinzius. E’ inoltre consulente pedagogico e conduttore di laboratori per genitori in Enti pubblici e privati, ma anche autore di saggi di carattere pedagogico sulle dinamiche genitoriali. Nel 2010 ha pubblicato Genitori in ascolto, dedicato alle complesse dinamiche della relazione genitori-figli, e nel 2012 Mettiti il Giacchetto, una sapiente disanima del mondo adolescenziale con gli occhi di chi, i giovani, li conosce bene.
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Per valorizzare qualcuno occorre dargli soddisfazione, farlo sentire importante, dimostrargli, con lo sguardo e con il
comportamento, che per noi vale. Quando si parla di bambini e di adolescenti la difficoltà educativa consiste, propriamente,
nel valorizzare gli atteggiamenti negativi che non possono essere eliminati perché risultano funzionali a dare voce alle
emozioni. Ad esempio la rabbia è un sentimento che richiede una modalità di espressione suscettibile di degenerare in un
comportamento negativo. In questi casi l’adulto di riferimento dovrebbe, ovviamente, sanzionare l’atteggiamento come
gesto, non la persona, ma questo percorso, pedagogicamente corretto, non basta. Occorre attuare anche una dinamica
relazionale per valorizzazione quel modo di essere, altrimenti il soggetto non si sente compreso, tenendo conto, però,
del fatto che valorizzare e comprendere non significa anche giustificare lo sbaglio. E’ necessario, cioè, trovare il modo di “dare
soddisfazione”…non dimentichiamo che, nei duelli ottocenteschi, la frase che dava inizio alla sfida era proprio, di fronte ad
uno smacco ricevuto, Voglio soddisfazione! Anche i bambini e gli adolescenti, di fronte agli smacchi della vita, vogliono
soddisfazione da parte dell’adulto significativo e per questo occorre dargli ciò che vogliono accettando il duello e la sfida.
Lo sbaglio sarebbe, invece, reprimere o rimanere indifferenti, perché significa che non siamo rimasti colpiti dal gesto e che,
quindi, non diamo significato al loro bisogno di avere soddisfazione.
Facciamo un esempio che dovrebbe chiarire meglio il concetto. In una terza liceo, mentre spiegavo il papato avignonese, una ragazza, con un atteggiamento palese di insofferenza, disse a voce alta “Che schifo la storia”. Una ragazza che esprime il suo disagio in un modo così evidente ti lancia una sfida: l’errore sarebbe, in questo caso, reprimere il gesto o rimanere indifferenti, perché significa che non siamo rimasti colpiti da lei e quindi non diamo significato al suo bisogno di avere soddisfazione. In quell’occasione io colsi la sfida in modo teatrale, dicendole provocatoriamente: “Che soddisfazione quando a fine anno mi pagherai la colazione!!!”. Lei, sorpresa, mi chiese il perché della mia affermazione e le risposi: “Perché ora si farà una scommessa davanti alla classe. Dovrai essere sincera e alla fine della terza mi dovrai dire se sono riuscito a farti amare la storia. In quel caso mi pagherai la colazione”. La ragazza accettò la scommessa, ma a fine anno mi disse che non se la sentiva di darmi soddisfazione: si erano, in questo modo, invertite le parti. Ero io, l’adulto, ad essere sotto esame, cosa che piace molto ai ragazzi. Il suo commento alla mia richiesta di spiegarsi era stato: “Storia è interessante, ma ancora non la amo, per cui si rimanda la questione”. In quarta mi ha portato una brioche col meraviglioso sorriso di chi si era sentita capita nel suo infantilismo iniziale. Quest’anno a storia ha preso 9 con la possibilità di arrivare al 10: la sfida l’ha vinta lei, a dimostrazione di come noi dobbiamo semplicemente accettare queste dinamiche relazionali per dare valore, evitando di disprezzare e di rimanere indifferenti, alle emozioni dei nostri ragazzi.
Questo libro, suddiviso in due parti correlate tematicamente tra loro, risponde idealmente a questo scopo, assumendosi la responsabilità di suggerire modalità per migliorare, e rendere nutrienti, la relazione genitori-figli e quella adolescenti-adulto di riferimento, in un’ottica di ascolto attivo e costruttivo.
Nella prima sezione, a prevalente trattazione teorica, l’attenzione si concentra sulle strategie pedagogiche legate alla valorizzazione della persona che partono dal presupposto di uscire dalla “anestesia razionale” per evitare che la relazione con il bambino e con l’adolescente diventi scontata e piatta. Per questo nel testo si adottano parametri poco utilizzati a livello pedagogico come quelli di sincronizzazione, sintonizzazione, spiazzamento e si esaminano aspetti di vita del mondo adolescenziale che si ripetono ciclicamente, come l’autogestione nelle scuole, ma che, non venendo solitamente presi in considerazione dal dibattito pedagogico, sono declinati quasi ad una mera abitudine folkloristica. Nella seconda parte del volume l’approccio teorico acquisisce una valenza maggiormente pratica assumendo la veste di riflessione condivisa attraverso una serie di domande fatte dai genitori durante i laboratori svolti nel corso degli anni. Questa sezione risponde all’esigenza di venire incontro a curiosità, dubbi e bisogni che le famiglie di oggi si trovano quotidianamente a sperimentare.