Delitti in Biblioteca

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Tredici misteri tra gli scaffali della Labronica

Da sempre le biblioteche, con i loro corridoi, i loro silenzi, le migliaia di libri che incutono timore e rispetto, sono luoghi ricchi di fascino e di mistero. Volumi e volumi che raccontano di tante vite passate, di saperi che si sono aggiunti a saperi in un gorgo
apparentemente infinita La biblioteca ricorda anche ai giovani come la cultura sia non solo un valore da condividere, ma anche un’occasione in più per fare conoscenza e stringere amicizie. E come testimoni di vita quegli scaffali tanto possono raccontare non solo di studio e di impegno, ma anche di amori, di amicizie, di abbandoni. E di crimini! Nasce cosi l’idea per la raccolta di
racconti “Delitti in biblioteca”: i protagonisti, vittime e assassini, lavorano, studiano e trascorrono il loro tempo in mezzo ai libri.
L’anziano bibliotecario, come faceva tutte le sere, spense una ad una le luci della grande sala, al primo piano dei Bottini dell’Olio. Una dopo l’altra le scaffalature e gli oltre 70 mila libri della biblioteca cittadina rimasero nella penombra, illuminati solo dalla pallida luce delle lampade di sicurezza. Il bibliotecario, come faceva da sempre, dette un’ultima occhiata ed uscì chiudendosi
dietro la porta blindata. L’ultimo rumore che si udì, prima che nella sala calasse il silenzio, fu il clic cloc della serratura. Ma se un visitatore, casualmente, fosse rimasto chiuso dentro la biblioteca avrebbe ascoltato, se prestava attenzione, un sommesso brusio proveniente dal fondo della sala, oltre le ultime scaffalature. Ne aveva parlato anche “Chi l’ha visto?’. “A Livorno”, aveva detto la famosa conduttrice, “Sono ormai troppe le persone scomparse negli ultimi anni che non si può più parlare di sparizioni nella norma. Da quando se ne andata cambiato tutto, niente più casa, niente più amici, niente più Skip. Niente di niente, mi rimasto solo papà, ma anche lui come se non ti fosse più. Ci speravo che tornando a Livorno sarebbe migliorato, ci sperava anche
nonna, gli diceva fa bene, qui con noi riprendi un pò dei tuoi cenci”.
E lui, obbediente, si è fatto trasferire. Abbiamo lasciato tutto in fretta e furia, abbiamo affittao la nostra casa e regalato il cane ai vicini, che qui viviamo a casa di nonna e Skip non ci sarebbe entrato. E già passato più di un anno ma papà è rimasto il solito, quando finisce di lavorare se ne sta sempre da solo, ad ascoltare quelle canzoni ammuffite di De Andrè, quelle che piacevano
tanto a mamma.
La casa di nonna fa schifo e anche la città fa schifo, la gente fa schifo. Quelli di classe mia pensano solo al calcio e a andarsene al mare. Ai primi giorni di sole son già tutti scuri come i marocchini, la domenica vanno allo stadio a sventolare le bandiere con quel faccione di Che Guevara che morto sparato dall’altra parte del mondo cent anni fa. E poi scherno su tutto, non solo quelli della mia età, ma anche i vecchi, sempre con la battuta pronta, cosa cazzo avranno da ridere?

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