Dall’aprile a shantih

14,00

Categoria:

Descrizione

Parigi, aprile 1750. La città è in preda al panico: da qualche tempo si verificano misteriosi rapimenti di bambini.

In un condominio della città di Lucca, alla fine del ’900, avviene un episodio analogo: due bambini, improvvisamente, scompaiono.

Tutto ristagna, tutto è arido e atrofizzato in un microcosmo aggressivo e fatiscente, contraddistinto da provvisorietà e cinismo, popolato da personaggi privi di identità, intimoriti, incapaci di relazioni autentiche, prigionieri di forme di conoscenza parziali e contraddittorie.

Immobilizzata in una ciclica ripetitività, ogni cosa sembra avere esistenza simultanea: vita e morte finiscono per confondersi.

Alla densità dello stile, alla frammentarietà, allo stravolgimento farsesco contribuisce uno sperimentalismo linguistico che mescola gergo e riferimenti letterari, burocratichese e dialetto, essenzialità e dettagli.

Tra disgusto e compassione per le debolezze umane, una tensione dolorosa percorre tutto il romanzo, evocando il senso di artificiosità del reale: il presente come se fosse già passato.

MICHELE CECCHINI

Michele Cecchini è nato a Lucca, nel quartiere dell’Annunziata, il 28 settembre 1972. Vive a Livorno. E’ docente di materie letterarie a Empoli. Dallaprile a shantih è il suo primo romanzo.
Incomincia il racconto dall’aprile a shantih. A Parigi, nell’aprile del 1750, spariscono bambini e nessuno ne sa nulla. Strane voci circolano. Parigi, gennaio 1750. La carestia e l’epidemia abbattutesi in alcune province del regno hanno fatto affluire nelle strade della capitale un numero spropositato di mendicanti. Il meccanismo repressivo entra in azione: gli interventi operati da arcieri ed ufficiali, pur contemplando tentativi di assistenza, nella maggioranza dei casi comportano la deportazione o i lavori forzati. Anziché rassicurare, gli arresti esasperano la popolazione. Spesso vengono accompagnati da sommosse di piazza, in cui la folla accorre in aiuto dei mendicanti. Le ordinanze emesse dai commissari e dai luogotenenti della polizia impongono di non accordare alcuna protezione: con il trascorrere dei giorni diviene sempre più concreta la possibilità che i mendicanti entrino in contatto con le organizzazioni criminali e con coloro che da sempre godono del sostegno o, almeno, dell’indulgenza dei cittadini: i giocatori d’azzardo, i contrabbandieri di sale e le prostitute. I tentativi di ripulire le strade sono inefficaci. Passano i mesi e Parigi continua ad essere il polo di attrazione verso cui convergono accattoni in cerca di cibo e di rifugio. Le ordinanze regie assumono via via toni sempre più rigorosi. 3 gennaio 1750: Considerato il notevole incremento di quanti richiedono denaro attraverso l’accattonaggio insistente e molesto, avvalendosi di bambini, atteggiandosi in modo ripugnante e vessatorio, esibendo o simulando malformazioni o menomazioni e analoghi mezzi fraudolenti, Sua Maestà vieta di richiedere le elemosina davanti ed in prossimità dei luoghi di culto. La violazione della seguente ordinanza comporta una sanzione di 20 scudi e la confisca delle monete provento dell’accattonaggio. 16 febbraio 1750: Sua Maestà vieta la richiesta di elemosina sulla pubblica via, nelle vicinanze di ospedali, cimiteri, palazzi, davanti agli edifici pubblici, alle scuole e nei parchi. In caso di inottemperanza, sarà applicata subito la confisca del denaro. I trasgressori verranno puniti con l’arresto fino a tre mesi, per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. La sanzione pecuniaria sarà di 50 scudi. 29 marzo 1750: Sua Maestà vieta l’accattonaggio sul territorio cittadino, con qualunque modalità e in ogni spazio pubblico. Sua Maestà ordina che i trasgressori siano arrestati e condotti alla casa di forza, ove saranno trattenuti per il tempo giudicato opportuno. Dalla fine di marzo le azioni della polizia aumentano di vigore, ma a suscitare inquietudine è soprattutto una voce andata via via diffondendosi: pare che in città, da qualche tempo, si verifichino misteriosi rapimenti di bambini. Pierre Ribot ha nove anni. Operaio alla garzatura, abita con i genitori in una casa di Rue de Charonne. Il pomeriggio del 6 aprile si reca dalla sorella per prendere la nipotina, come sua madre al solito gli chiede di fare. Qualcuno racconta di averlo visto attraversare Place de Grève. Da questo momento in poi, di Pierre Ribot si perde ogni traccia: a casa della sorella non arriverà mai. La mattina del 9 aprile Jean Baptiste Rodin – undici anni – dopo aver recapitato una lettera al mastro artigiano Millard, si incammina verso casa lungo Rue de Seine. Più avanti, all’incrocio tra il mercato e il Palais Royal, viene accostato da un individuo che lo invita a salire su una carrozza. Un testimone assicura di aver visto all’interno altri sette o otto bambini. Né più si seppe nulla di loro. Gli episodi non rimangono isolati e nel giro di pochi giorni il panico aumenta. Sui muri della città, i manifesti fatti affiggere dai maestri delle scuole elementari invitano i genitori a vigilare: il padre e la madre sono pregati di accompagnare i propri figli a scuola, fino in prossimità dell’ingresso dell’edificio, e di presentarsi puntuali all’orario di uscita. La dinamica, le testimonianze, il racconto dei bambini scampati sembrano a poco a poco fare chiarezza, individuando quali autori dei sequestri gli organi di polizia: i rapimenti sarebbero in realtà arresti operati dagli arcieri del corpo di guardia, che dunque non si limitano a incarcerare i mendicanti. In abiti civili, confondendosi tra la folla lungo le strade, i poliziotti procedono alla immediata e, a quanto sembra, indiscriminata cattura di bambini. Il pomeriggio dell’11 aprile, dopo aver partecipato al catechismo, sei bambini, tutti dodicenni, passeggiano sul Pont au Change. Da qui proseguono lungo Rue Geoffroi l’Anier per arrivare a Rue Nonaindières, dove si mettono a giocare con alcune biglie. Li segue un uomo, apparentemente interessato al gioco. Ad un suo cenno, dal Quai des Ormes sbucano tre cavalieri del Guet, uno dei corpi armati di polizia della capitale. I bambini vengono caricati di forza su una carrozza. Il figlio del mastro bottonaio Marchand riesce a fuggire. Le parole che ricorda pronunciate dagli aggressori sono all’incirca: “Siete in arresto!”, “Basta bighellonare per strada!” e “Vagabondi!”. La vicenda degli altri cinque bambini si conclude con la reclusione immediata presso la prigione del Grand Châtelet, né risulta avere luogo alcun interrogatorio da parte del Commissario di quartiere. Da questo momento, nessuno ne saprà più niente. Rarissimi sono i casi di bambini rilasciati dopo l’arresto: nonostante la protezione dell’ufficiale regio Barruel, Marie–Cécile Serrat, che ha assistito al rapimento del figlio in Place Maubert, dovrà sborsare cinquantacinque soldi e attendere ventiquattro giorni per ottenerne il rilascio; a Philippe Valbon occorreranno sessantadue scudi per recuperare la figlia Marie, di nove anni. Anche i casi di rilascio finiscono per elevare la tensione: tra i parigini gira voce che gli ispettori di polizia utilizzino le somme ottenute per le scarcerazioni come premi ai propri ausiliari, prezzolati a gettone per ogni rapimento. Una sorta di psicosi collettiva si impadronisce della città. 9 aprile. Pomeriggio. Quaranta bambine sono impegnate nelle prove del coro parrocchiale presso la scuola di Notre–Dame de Bon Secours, in Faubourg Saint–Germain. Improvvisamente sono colte da convulsioni e vomito. L’episodio si ripete a due giorni di distanza: in questa occasione, viene notata una vecchia mendicante avvicinarsi, estrarre dalla tasca un fazzoletto e agitarlo. Le bambine presenti alla scena sostengono che si tratta della stessa donna che avevano visto aggirarsi nei dintorni della chiesa due giorni prima. Immediatamente si diffonde la notizia della presenza nel quartiere di una spia, di una strega, inviata dalla polizia per avvelenare i bambini. Il giorno successivo, mentre un’anziana signora sale i gradini della parrocchia, una bambina si mette a gridare. Non ha dubbi: è la strega di Saint–Germain. Ne nasce un tumulto in cui oltre duecento persone si avventano contro la donna. Successivamente verrà appurato che sono state le emissioni mefitiche del limitrofo Cimitière des Innocents a provocare il malore delle bambine. Il 12 aprile vengono portati alla morgue dello Châtelet quindici o sedici cadaveri di bambini. Il più grande ha poco più di tre anni, alcuni sono neonati. Le tensioni e i sospetti dilagano: si tratta di un’azione premeditata; è questa la fine che fanno i bambini rapiti; la polizia e le sue spie sono responsabili di questo orrore. Le agitazioni non si placano neppure quando un gruppo di medici chiarisce che i piccoli cadaveri erano stati trasportati lì dall’ospedale Hôtel–Dieu per fare delle dissezioni anatomiche. Passano i giorni, e le vampate di violenza coinvolgono zone sempre più vaste della città. Rue Saint–Antoine, 14 aprile. Una decina di ragazzi stanno giocando. Lionel Binet, uno dei collaboratori dell’ispettore Bonafous, riceve l’ordine di arrestarne sei. La popolazione reagisce immediatamente. La carrozza della polizia viene circondata e fermata. Alcuni abitanti del quartiere danno l’assalto a due botteghe, nel tentativo di armarsi con mezzi di fortuna. I poliziotti sguainano le spade. I disordini e la calca non impediscono al corpo di guardia di caricare i bambini a bordo di una seconda vettura e di condurli allo Châtelet. Nelle ore che seguono, gli scontri lungo i vicoli della zona si moltiplicano. Centinaia di abitanti del quartiere delle Halles, in cui abita il piccolo garzone cordaio Gustave Laporte, stanziano a lungo di fronte alla sede del Commissariato: pretendono notizie del bambino, rapito mentre era intento a dare l’acquasanta a un defunto. Le forze di polizia disperdono la folla. Undici persone muoiono. Il rapimento della figlia di Jeanne–Yvette Chevreux, venditrice di erbe e di pesce, provoca una sommossa presso il mercato del Bourg–Tibourg: la folla invano chiede il rilascio della bambina, inseguita dagli arcieri dell’Ospedale Generale fin dentro la propria abitazione. Le voci sui rapimenti di bambini si diffondono rapidamente: Ménilmontant, Villemomble, Neuilly, Versailles. Persino in città più lontane come Rouen e Caen si racconta di episodi analoghi. Faubourg Saint–Honoré, 15 aprile, mattina. Un uomo viene visto dare dei soldi alla figlia del baulaio Philippe Linotte perché vada a comprargli della frutta al mercato dei Quinze–Vingts. Immediatamente, gli abitanti del quartiere riferiscono alla madre che la bimba è stata avvicinata da un rapitore. Un’ora dopo l’uomo, ritenuto un poliziotto in borghese, viene circondato e massacrato. I tumulti non interrompono i sequestri ma impongono almeno il rispetto delle procedure: un’ordinanza regia del 16 aprile impone, per gli arresti effettuati dal Guet, lo svolgimento di un interrogatorio presso l’ufficio del Commissario; agli ufficiali in ronda di sorveglianza raccomanda di operare sempre in pattuglia, e di rendersi riconoscibili attraverso l’uniforme, da indossare obbligatoriamente. Non per questo le sparizioni di bambini cessano. Anzi, la polizia sembra incline a metodi sempre più sbrigativi. 18 aprile. Verso le nove di sera, Claudette Eymard, lavandaia e vedova di un fabbricante di speroni, sente bussare alla porta di casa. Tre signori, uno dei quali dichiara di essere ufficiale regio, irrompono nell’abitazione e si recano nella stanza dell’unico figlio, tredicenne. Madre e figlio non oppongono resistenza. La donna si limita a seguire a piedi la carrozza fino allo Châtelet. Il disagio e l’imbarazzo delle autorità sono evidenti nella delibera del 19 aprile, pubblicata al termine della riunione tra il Procuratore generale del Parlamento, il Luogotenente criminale e il Ministro della “Masoin du Roi”. L’ordinanza da un lato decreta l’apertura di un’inchiesta sulla turbativa dell’ordine pubblico provocata da false voci, secondo le quali esisterebbero ordini impartiti per rapire i bambini; allo stesso tempo ne promuove una seconda, che indaghi sulla eventuale presenza di rapitori di bambini. Nella notte tra il 20 e il 21 aprile a Parigi esplode la rivolta.